giovedì 14 febbraio 2008

Un vuoto di legalità

Stefano Rodotà
La Repubblica 7 febbraio 2008

Muore, senz`essere mai nata, Mla Seconda Repubblica. Lascia uno spaventoso vuoto di legalità, dove è già precipitata la politica e nel quale rischia di inabissarsi l`intera società italiana. In questo clima, e con un contesto così degradato, si corre verso le elezioni anticipate.

La legalità costituzionale, prima di tutto. Sta accadendo qualcosa che non ha precedenti nell`intera storia repubblicana. Si dubita, con fondate ragioni, della legittimità stessa delle leggi elettorali, dunque dello strumento al quale sono affidate le sorti della democrazia rappresentativa. Questo non avviene per forzature di parte.

Deriva da quel che sta scritto in una delle sentenze con le quali la Corte costituzionale ha dichiarato ammissibili i referendum elettorali e che, nell`euforia referendaria, era stato trascurato. Non è un dettaglio, ed è ben più che un segnale d`allarme. Dopo aver ricordato di non potersi occupare in questo momento della costituzionalità dell`attuale legge elettorale, né di quella che risulterebbe qualora i referendum fossero approvati, i giudici costituzionali scrivono: "L`impossibilità di dare, in questa sede, un giudizio anticipato di legittimità costituzionale non esime tuttavia questa Corte dal dovere di segnalare al Parlamento l`esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina l`attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una quotaminima divoti e di seggi". Unvizio, questo, che non riguarda soltanto la legge che deriverebbe dal referendum, ma "è carenza riscontrabile già nella normativa vigente", dunque nella legge con la quale andremo a votare in aprile.

Che cosa vuol dire tutto questo? Che sulle prossime elezioni si allunga appunto l`ombra dell`illegittimità. Le Camere risultanti dal voto di aprile verranno costituite con un meccanismo sul quale sollevano dubbi non critici malevoli, ma la stessa Corte. La "porcata" di Calderoni e la "trovata" dei referendari sono accomunate da un dubbio che riguarda la loro compatibilità con il sistema costituzionale.

Come uscire da questa situazione? Da molte parti si prospettano ricorsi, conflitti tra poteri dello Stato. Ma, date le caratteristiche delle leggi elettorali, è quasi impossibile sanare quel vizio d`origine. E così l`intero nostro sistema istituzionale è destinato a funzionare in condizioni di "convivenza con l`illegalità", estendendosi ad esso una regola che vige da tempo in molte aree e settori del nostro paese. L`unico rimedio sarebbe la rapida approvazione di una nuova legge elettorale, subito dopo il voto.

In questo modo, però, il nuovo Parlamento sarebbe immediatamente delegittimato, l`annunciata "fase costituente" avrebbe basi fragilissime e non sarebbero infondate le richieste di tornare al voto con una legge finalmente conforme alla Costituzione. Sembrerebbe che non vi sia alternativa: convivere con l`illegalità al massimo grado, quello costituzionale, o rassegnarsi ad una fase confusa e instabile. Questo è l`ultimo lascito della cosiddetta Seconda Repubblica, frutto dell`imprevidenza di alcuni e dell`irresponsabilità di molti.

L`illegalità costituzionale non si ferma qui, ma si estende all`intero sistema della comunicazione televisiva, dunque ad una componente ormai essenziale del processo democratico. Di nuovo, la denuncia della stessa illegittimità formale del nostro sistema non viene da critici prevenuti, ma dal vertice delle istituzioni europee, la Corte di Giustizia e la Commissione. La prima ha giudicato illegittima la mancata attribuzione delle frequenze spettanti all`emittente televisiva Europa 7, con una inammissibile chiusura del mercato e un pregiudizio per il pluralismo della comunicazione. E la Commissione ha da tempo avviato una procedura d`infrazione contro l`Italia, ritenendo incompatibile con le regole europee la legge Gasparri, dunque la normativa che sta alla base dell`attuale sistema. Questa situazione, per sé in contrasto con qualsiasi assetto democratico, diventa particolarmente grave nel nostro paese dove, come tutti sanno, si traduce nell`attribuzione diun indebito vantaggio ad una delle parti della contesa elettorale.

Le infinite anomalie italiane si intrecciano sempre più strettamente, rischiano di soffocare la democrazia e certamente producono sfiducia crescente da parte dei cittadini elettori. Che, per la seconda volta, si troveranno radicalmente espropriati della possibilità di scegliere i loro rappresentanti.

Le liste bloccate saranno confezionate da una ventina di persone, alle quali è stato così trasferito un potere incontrollato di designare quasi mille parlamentari.

A questa ulteriore distorsione potrebbe esser posto parzialmente rimedio se, a differenza della volta passata, le oligarchie politiche facessero una duplice operazione. Da una parte, dovrebbero adoperare il loro enorme potere per rinnovare davvero la classe dirigente, con l`occhio alla competenza e all`effettivarappresentatività, invece di perseverare nell`abitudine di promuovere famigli, clienti, yesmen, bevitori di spumante, mangiatori di mortadella, espositori di striscioni ormai vietati anche nelle curve degli stadi. Dall`altra, dovrebbero avviare una operazione di ripulitura che ripristini la legalità attraverso una rigorosissima valutazione della moralità pubblica e dei precedenti penali dei singoli candidati.

Sembrano due missioni impossibili, e forse lo sono. Ma la fiducia dell`opinione pubblica, dunque il suo ritorno alla politica e non la resa alle suggestioni dell`astensione e dell`antipolitica, passa proprio attraverso la ricostruzione della moralità pubblica, la fine della politica come mondo separato, sciolto dall`osservanza d`ogni regola, portatore più che di privilegi di vere e proprie immunità.

Molte indicazioni recenti vanno nel senso opposto. Prendiamo come esempio il caso Cuffaro. Sembrerebbe che le sue dimissioni siano state determinate non da una pesante condanna, ma da un vassoio di cannoli.

Presente alla lettura della sentenza, il Presidente della Regione siciliana ha manifestato tutta la sua soddisfazione per essere stato assolto dall`imputazione di concorso esterno in associazione mafiosa, con una allegria che lasciava allibito chi aveva appena ascoltato una condanna a cinque anni con interdizione perpetua dai pubblici uffici. Intorno a Cuffaro si strinsero il suo partito e l`intero centrodestra. Poi l`imprevisto, barocco arrivo dei cannoli, e l`inevitabilità delle dimissioni. Dovute, dunque, ad un eccesso nei festeggiamenti, non a sensibilità istituzionale (si annunciava un decreto di rimozione). Ma il suo schieramento politico continua a presentarlo come vittima di una persecuzione giudiziaria, mentre quel processo, come dimostrano i molteplici colloqui di uomini della politica con esponenti mafiosi, è la prova drammatica di una politica che al mondo della criminalità non chiede soltanto un "appoggio esterno", ma con esso tende a compenetrarsi.

Come dimostrano questo ed altri casi, i tentativi di recuperare una legalità perduta da tempo sono affidati soltanto ai giudici, con le inevitabili distorsioni che questo comporta. Ma queste distorsioni, come ripeto da anni, derivano dal modo in cui il ceto politico ha deciso di difendersi, azzerando ogni sua responsabilità, sottraendosi a quelle minime regole deontologiche che qualsiasi professione (avvocati, medici, ingegneri) deve rispettare.

Da tempo la responsabilità politica è scomparsa. Quando si censura il comportamento di un politico, ormai la risposta corrente è "non vi è nulla di penalmente rilevante". Così non solo si confondono codice penale e regole della politica. Si fa diventare la magistratura l`esclusivo e definitivo giudice dellapolitica: e questo accade non per unavolontà di potenza dei giudici, ma perle dimissioni della politica da uno dei suoi essenziali compiti. Un establishment che voglia davvero essere tale, e voglia conservare credibilità di fronte all`opinione pubblica, dev`essere capace di escludere non solo chi viola le norme penali, ma chiunque trasgredisca le regole di trasparenza, correttezza moralità, riducendo la politica solo a spregiudicata gestione del potere.

Parlando di legalità, e del suo ripristino, è lecito fare un accenno anche alle questioni "eticamente sensibili"? O questa è una inaccettabile caduta nel laicismo? Un solo caso. In un clima da crociata, e di fronte a prescrizioni sempre più perentorie delle gerarchie ecclesiastiche, amministratori locali vogliono imporre le loro regole per l`interruzione della gravidanza.

So bene che citare Zapatero è come parlare del Diavolo. Ma uno Stato dev`essere capace di rivendicare quelle che sono le sue proprie competenze, non delegabili a nessun altro. Solo così i cittadini possono continuare a percepire chi davvero esercita la sovranità, qual è la fonte delle regole, ed essere pronti a rispettarle.

Carcere molle

di Marco Travaglio

28.02.2007 – UliwoodParty Unità


La notizia è da prima pagina di giornali e telegiornali, infatti non ne parla nessuno (a parte un articolo dell’Espresso e uno del Corriere della Sera). Nell’ultimo anno, a cavallo tra il governo Berlusconi e il governo Prodi, s’è registrato il record dei boss e killer mafiosi che si son visti annullare il carcere duro e isolato (il 41-bis). Ne sono usciti ben 89, vi restano in 526. Perché?

Chi aveva preso sul serio la propaganda berlusconiana, che vantava un forte impegno antimafia per il sol fatto di aver stabilizzato con legge ordinaria il regime del 41-bis prima affidato a provvedimenti temporanei prorogati di sei mesi in sei mesi, resterà stupefatto. In realtà è proprio quella legge la causa almeno indiretta dell’escalation degli annullamenti.

Se prima – spiega Giovanni Bianconi sul Corriere – citando una circolare del Dap (la direzione delle carceri) – era difficilissimo per i boss far revocare il 41-bis, visto che i tempi dei ricorsi erano più lunghi di quelli delle proroghe semestrali, e ogni volta bisognava ricominciare da capo, ora che il regime carcerario è definitivo c’è tutto il tempo per chiedere e ottenere l’annullamento.

L’ultimo a tornare al regime normale, che gli consente di comunicare liberamente con parenti e avvocati, di frequentare gli altri detenuti nelle ore d’aria e soprattutto di accedere ai benefici della legge Zozzini, è Antonino Madonna, figlio di Francesco, boss della famiglia palermitana che ha insanguinato Palermo e l’Italia con centinaia di omicidi e poi con le stragi del 1992-’93.

La notizia potrebbe spiegare lo strano silenzio dei boss in carcere, boss che fino a quattro anni fa si mostravano piuttosto nervosi: nell’estate 2002 il superboss Leoluca Cagarella, dalla gabbia di un processo, accusò i politici di “strumentalizzare” i mafiosi e di non “mantenere le promesse”. Altri boss denunciarono il “tradimento” dei loro avvocati eletti in Parlamento che non facevano gli interessi dei clienti. “41-bis, Berlusconi dimentica la Sicilia ”, recitava un minaccioso striscione apparso nello stadio di Palermo e scritto dal figlio di un capomafia condannato all’ergastolo.

Lo smantellamento del 41-bis, com’è noto, era in cima alle richieste avanzate da Riina nel “papello” consegnato nei primi anni 90 a misteriosi “referenti politici”. Quelle richieste sono state esaudite? A giudicare dal silenzio dei boss, si direbbe di sì.

Ora, per capire che cos’è accaduto nelle prigioni italiane sotto il governo Berlusconi, la Procura di Roma ha avviato – come rivela l’Espresso – un’inchiesta che mira a verificare l’attività svolta da 71 agenti di polizia penitenziaria incaricati dall’Ispettorato delle carceri di monitorare i boss detenuti al 41-bis. Sono state nascoste microspie nelle celle? Si sono assolati confidenti per capire dove andava Cosa nostra? E se ciò è avvenuto, chi l’ha ordinato e cos’ha scoperto? Il 20 luglio 2006, rispondendo a un’interrogazione di Graziella Mascia di Rifondazione, il sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi s’impegnò ad “approfondire la materia per valutare se e come l’iniziativa” di quella squadretta di detective penitenziari dovesse proseguire e a quale controllo giudiziario rispondesse.

La domanda non è da poco, visto che un anno fa, in occasione dell’arresto di Provengano, il Dap fu teatro di “incidenti” quantomai stravaganti. L’Espresso parla di un tentativo, rientrato all’ultimo momento, d’inviare l’anziano boss in una prigione dov’era già recluso il suo storico braccio destro Piddu Madonna, arrestato nel ’93, che da anni tenta di accreditarsi come pentito. Alcuni funzionari del Dap se ne accorsero e Zu Binnu fu assegnato al supercarcere di Terni. Ma appena vi arrivò scattarono strane manovre per farlo trasferire altrove: qualcuno passò alla stampa la falsa notizia di un commento del figlio di Riina (‘Sto sbirro proprio qua l’hanno portato?”).

Tutto falso. L’associazione dei parenti delle vittime della strage dei Georgofili chiede da tempo di sapere quanti bosso sono passati dal carcere duro al carcere molle, e perché. Ora sappiamo che il beneficio ha riguardato solo nell’ultimo anno 89 mafiosi. Ma non sappiamo ancora perché. Sappiamo però che, dal carcere, nessun mafioso si pente più. E’ tutto casuale, o c’è stata l’ennesima trattativa? Se non ci saranno risposte chiare, saremo tutti – non solo i parenti delle vittime – autorizzati a pensar male.

Perché il diritto alla verità non riguarda solo i parenti delle vittime. Riguarda tutti noi.

Lettera aperta

All’attenzione di … (testate, partiti, ministi, giornalisti ecc. ecc.)

Convinti che informazione e magistratura siano un binomio indissolubile per garantire libertà e democrazia, ci apprestiamo ad esprimere il nostro disgusto per quello che sta accadendo in Italia. Assistiamo a trasmissioni in cui i nostri cari giornalisti, garanti del nostro controllo sulla politica ed espressione dell’opinione pubblica, diventano vassalli, valvassori e valvassini (premettendo che con questi termini di stampo feudale vogliamo indicare la noncuranza degli addetti all’informazione nel fare il loro mestiere) del conclamato presidente Berlusconi e del neocandidato Veltroni.
Durante la trasmissione “Porta a porta” del 12 Febbraio scorso nessuno si è degnato minimamente di ricordare ai nostri cari elettori che il presunto vincitore delle prossime elezioni politiche porta dietro di sé una sfilza di procedimenti giudiziari. Durante la medesima trasmissione del 13 Febbraio nessuno ha obiettato l’inconsistenza delle dichiarazioni “innovative” di Veltroni
E soprattutto nessun giornalista ha avuto da obiettare quando l’innovatore Walter ha riproposto l’ormai consueto bavaglio alla stampa promettendo una legge sulle intercettazioni in cui i giornalisti non potranno pubblicare prima del primo grado di giudizio.
Non sappiamo quale sia la realtà che appare ai vostri occhi. Possiamo solo descrivere quello che noi percepiamo, e certamente non è molto confortante. Premesso il fatto che riteniamo i due più grandi partiti di questo paese siano impresentabili -da un lato Berlusconi con tutti i provvedimenti giudiziari a suo carico, dall’altro Veltroni che nasconde nel suo partito persone come Fassino, D’Alema, La Torre, che fino a poco tempo fa voi descrivevate come coloro che stavano tentando le scalate alle banche- ci sembra di vivere in un manicomio, in un paese totalmente incivile dove va avanti solo chi è corrotto e sa delinquere facilmente. Anche dall’estero ci descrivono così!
Rispetto, educazione, legalità, solidarietà e giustizia vengono continuamente schiaffeggiate da questo apparato dominante. Cervantes insegna che combattere, come Don Chisciotte, contro i mulini a vento è impresa ardua.
Siamo forse noi che consideriamo fondamentale il mantenimento di un briciolo di etica e moralità il vero problema?
Siamo forse noi a doverci adeguare al modello corrotto che ci viene continuamente imposto con la forza dai nostri strumenti di distrazione di massa?
Siamo forse noi a doverci adeguare e a dover accantonare gli insegnamenti dei nostri genitori per entrare a far parte del sistema che ci impone Mafia e corruzione come modelli?
Del resto parliamoci chiaro, in Italia chi ottiene maggior riconoscimenti e prestigio? Mafiosi, corrotti e corruttori, scalatori di banche e via dicendo. Accettate la nostra provocazione: diventiamo tutti militanti di Cosa nostra e della ‘ndrangheta, diventiamo tutti bravi a far soldi subito in modo facile. Tanto fra indulto e accorciamento dei tempi di prescrizione, in carcere o non ci si va o ci si permane breve tempo. Basta trasferire un pò di soldi off shore e si è tranquilli per tutta la vita.

Silvia Innocenzi anni 25 Roma
Francesco Tumbarello anni 24 Sicilia


mercoledì 23 gennaio 2008

Fenomenologia del non-sentimentodi
Umberto Galimberti - 22/12/2007 La Repubblica

"L'indifferenza", il saggio di Adriano Zamperini dedicato alla desensibilizzazione del nostro tempo

Quando la politica non decide e dà l'impressione che nulla potrà mai cambiare perché il conflitto tra le parti mette in ombra il bene comune, quando la scuola, sfiduciata, rinuncia non solo all'educazione ma anche all'istruzione perché troppi sono gli studenti che non capiscono il senso di quello che leggono, quando le imprese e le organizzazioni lavorative e burocratiche danno l'impressione di non amare la novità e di preferire la routine, il freddo ingranaggio ben sincronizzato con i movimenti che scandiscono un tempo senza passioni, quando i morti sul lavoro sono consuetudine quotidiana che più non scuote le coscienze e non promuove interventi, quando i vecchi, i malati di mente e quelli terminali sono solo un problema che non suscita neppure commozione, quando lo straniero è solo un estraneo con cui è meglio non avere a che fare, quando persino i giovani devono inghiottire una pillola di ecstasy per provare, almeno al sabato sera, una qualche emozione, allora siamo all' indifferenza , vera patologia del nostro tempo, che Adriano Zamperini, nel suo bel libro dedicato a questo non-sentimento, descrive come distacco emozionale tra sé e gli altri, mancanza di interesse per il mondo, alimentata dal desiderio di non essere coinvolti in alcun modo, né in amore né in lotta, né in cooperazione né in competizione, in una società popolata da passanti distratti e noncuranti, affetti dall'indifferenza dell'uomo verso l'uomo, dove ciascuno passa vicino al suo prossimo come si passa vicino al muro.Alla base dell'indifferenza troviamo una speranza delusa circa la possibilità di reperire un senso, un'inerzia in ordine a un produttivo darsi da fare, a cui si aggiungono sovrabbondanza e opulenza come addormentatori sociali, noncuranza di fronte alla gerarchia dei valori, noia, spleen senza poesia, incomunicabilità, non solo come fatto fisiologico tra generazioni, ma come pratica di vita, dove i ruoli, le posizioni, le maschere sociali prendono il posto dei nostri volti ben protetti e nascosti, perciò inconoscibili.Tutti questi fattori scavano un terreno dove prende forma quel genere di solitudine che non è la disperazione, ma una sorta di assenza di gravità di chi si trova a muoversi nel sociale come in uno spazio in disuso, dove non è il caso di lanciare alcun messaggio, perché non c'è anima viva in grado di raccoglierlo, e dove, se si dovesse gridare "aiuto", ciò che ritorna sarebbe solo l'eco del proprio grido.L'invito a coltivare la razionalità, peraltro mai diluita nell'emozione, la difesa delle buone maniere che ormai, persino a propria insaputa, fanno tutt'uno con l'insincerità, la noia che come un macigno comprime la vita emotiva impedendole di entrare in sintonia col mondo, formano quella miscela che inaridisce ciascuno di noi, a cui non è stato insegnato come mettere in contatto il cuore con la mente, e la mente con il comportamento, e il comportamento con il riverbero emotivo che gli eventi del mondo incidono nel nostro cuore. Queste connessioni che fanno di un uomo un uomo non si sono costituite, e perciò nascono biografie capaci di gesti tra loro a tal punto slegati da non essere percepiti neppure come propri.Per effetto di questa atrofia emotiva e con un buon allenamento nella palestra gelida della razionalità, finiamo col sostituire alla responsabilità, alla sensibilità morale, alla compassione, al senso civico, al coraggio, all'altruismo, al sentimento della comunità, l'indifferenza, l'ottundimento emotivo, la desensibilizzazione, la freddezza, l'alienazione, l'apatia, l'anomia e alla fine la solitudine di tutti nella vita della città.